Anatocismo e Usura
PARERI E RICALCOLI IN MATERIA DI RICHIESTA DI RIMBORSO DI INTERESSI ANATOCISTICI.
PARTECIPAZIONE IN CONSULENZE TECNICHE DI PARTE AVENTI AD OGGETTO RICHIESTE DI RIMBORSO DI INTERESSI ANATOCISTICI O ULTRALEGALI.
LO STUDIO PUO’ EFFETTUARE CON RAPIDITA’ I RICALCOLI DEGLI INTERESSI DA ADDEBITARSI CORRETTAMENTE IN UN RAPPORTO DI CONTO CORRENTE, ELIMINANDO GLI EFFETTI DOVUTI ALL’ANATOCISMO E ALL’APPLICAZIONE DI EVENTUALI INTERESSI ULTRALEGALI NON PATTUITI (O COMMISSIONI MASSIMO SCOPERTO) .
LO STUDIO HA GIA’ PORTATO A TERMINE FAVIOREVOLMENTE NUMEROSE CAUSE, ANCHE TRAMITE ACCETTAZIONE DI PROPOSTE TRANSATTIVE DURANTE IL PROCEDIMENTO.
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L’anatocismo nei rapporti bancari: evoluzione normativa, giurisprudenziale e della prassi (cenni).
Il fenomeno dell’anatocismo, cioè della produzione degli interessi sugli interessi, trova la sua origine nel regime della capitalizzazione composta: gli interessi generati da un determinato capitale vengono liquidati alla fine di ciascun periodo (giorno, trimestre, semestre, anno) e vengono sommati al capitale che li ha prodotti per generare il cosiddetto montante (capitale + interessi) che a sua volta produrrà interessi nel periodo successivo.
Tale regime è contrapposto in matematica finanziaria a quello della capitalizzazione semplice, dove gli interessi non vengono mai sommati al capitale che li ha generati.
L’art. 1283 del Codice Civile sancisce il divieto dell’anatocismo affermando che:
“In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.
Le Banche hanno sempre adottato la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi nonostante il divieto espresso dal Codice Civile, in virtù di un “uso normativo” designato dalle N.U.B. ; si tratta di “norme bancarie unitarie” predisposte da un’associazione di categoria pianificata alla tutela degli interessi delle banche (A.B.I.), ritenute, in più di una sentenza della Corte di Cassazione, prive di forza normativa (n. 3572 del 269/10/1968 e n. 3638 del 14/12/1971).
Tale clausola di capitalizzazione poneva anche un problema in ordine alla “disparità di trattamento” riservata alla clientela: infatti tale capitalizzazione veniva utilizzata solo per conti correnti che presentavano un saldo a debito, mentre per quei conti che presentavano un saldo a credito la capitalizzazione composta era applicata con periodicità annuale.
Nel marzo del 1999 vennero pronunciate dalla Corte di Cassazione le prime sentenze volte a compromettere la validità di tale tipologia di capitalizzazione (sentenza n. 2374 del 16 marzo 1999, n. 3096 30 marzo 1999).
In tali sentenze veniva stabilito che:
“E’ nulla la previsione contenuta nei contratti di c/c bancario, avente ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria norma consuetudinaria e interviene anteriormente alla scadenza degli interessi”(sentenza n. 2374/1999).
“La capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca sui saldi di c/c passivi per il cliente non costituisce un uso normativo, ma un uso negoziale, essendo stata tale diversa periodicità della capitalizzazione (più breve rispetto a quella annuale applicata a favore del cliente sui saldi di c/c per lui attivi alla fine di ciascun anno solare) adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell’A.B.I. nel 1952 e non essendo connotata la reiterazione del comportamento dalla “opinio iuris ac necessitatis.” (sentenza n. 3096/1999).
L’uso normativo proclamato dalle Banche, quindi, si rivelava in realtà un uso meramente negoziale (ex art. 1340 C.C.) incapace di poter derogare al principio sancito dal Codice Civile.
In seguito furono sempre più frequenti le pronunce della Corte in questa direzione; difatti anche la sentenza successiva pronunciata nel novembre del 1999 (n. 12507 11 novembre 1999) confermava lo stesso principio:
“La clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, deve reputarsi nulla, in quanto si basa su un uso negoziale (ex art. 1340 c.c.) e non un uso normativo come esige l’art. 1283 C.C., laddove prevede che l’anatocismo (salve le ipotesi di domanda giudiziale e della convenzione successiva alla scadenza degli interessi) non possa ammettersi, in mancanza di usi contrari. L’inserimento della clausola nel contratto, in conformità alle c.d. N.U.B. predisposte dall’A.B.I. non esclude la nullità, poiché a tali norme deve riconoscersi soltanto il carattere di usi negoziali e non quello di usi normativi.” (sentenza n. 12507/1999).
Il 4 agosto 1999 venne emanato il decreto legislativo n. 342 con finalità di integrazione e correzione del Testo Unico Bancario: in questo modo si cercava di evitare gli eventuali effetti disastrosi e devastanti nei confronti degli Istituti di Credito in seguito alle pronunce della Corte di Cassazione.
In particolare, l’art. 25 di tale decreto integrava quanto stabilito dall’art. 120 del T.U.B. affermando che:
– “… Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori…” (art. 25, II comma);
– “…Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dai clienti.” (art. 25, III comma).
In seguito a quanto stabilito al secondo comma, nel febbraio del 2000 intervenne la delibera del CICR con la quale veniva stabilito il principio della parità di trattamento nei confronti della propria clientela, per quanto riguarda i saldi debitori e creditori:
“ Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base di tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità.
Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.
Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.”
Le disposizioni del terzo comma posero invece un problema di legittimità costituzionale nei riguardi dell’efficacia retroattiva riconosciuta a tale decreto per i rapporti sorti anteriormente alla delibera del CICR (sollevarono questione di legittimità il Tribunale di Benevento con unica ordinanza del 21 ottobre 1999, il Tribunale di Lecce con tre ordinanze, del 21 ottobre, 29 ottobre e 10 dicembre 1999, Tribunale di Brindisi con tre ordinanze, dell’8 novembre, 9 dicembre e, ancora, del 9 dicembre 1999, il Tribunale di Civitavecchia con due ordinanze, entrambe del 14 gennaio 2000 ed il Tribunale di Bari con unica ordinanza, del 23 novembre 1999).
Con sentenza n. 425 del 17 ottobre del 2000 venne ritenuto incostituzionale il III comma dell’art. 25.
Le pronunce della Cassazione posteriori non hanno fatto altro che rispecchiare tale principio di incostituzionalità confermando la natura di uso negoziale e non normativo dell’applicazione delle N.U.B. (sentenza n. 1281 1/2/2002; n. 4490 28/3/2002; …).
Alle stesse conclusioni erano giunti il tribunale di Brindisi con sentenza del 13/05/2002 e la Corte di Appello di Lecce con sentenza del 22/10/2001 (“L’approvazione tacita dell’estratto conto trasmesso al correntista per difetto di contestazione nel termine di cui all’art. 1832, 1° comma, C.C., concerne le operazioni materiali e la loro conformità agli accrediti ed agli addebiti e non anche la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui le operazioni stesse derivano”).
L’invalidità definitiva della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi per i rapporti anteriori al 1999 è stata dichiarata dalla sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004, stabilendo che:
“Le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi sono nulle anche se contratte prima del nuovo orientamento giurisprudenziale che ha negato la sussistenza di un uso normativo al riguardo.”